Intervista nell’ambito della mostra personale dell’artista a Palazzo del Novecento – Milano
Lettura, viaggio, ricerca sono le parole che vengono alla mente quando si pensa a Gionata Gesi in arte Ozmo. Non vorrei limitarmi a raccontare la sua doppia anima di writer e artista da galleria, perché è storia già scritta e raccontata, vorrei invece viaggiare all’interno dell’unica anima di Ozmo, perché lui è uno e non doppio. Il doppio è un gioco usato per semplificare, per rendere accessibile la comprensione della sua arte nei diversi ambienti in cui l’artista ha gravitato e gravita tuttora; ambienti che forse troppo poco hanno comunicano tra loro, e a volte ostili l’uno con l’altro. Sarebbe come se Umberto Eco, con “Il nome della rosa” per esempio, si fosse impropriamente e doppiamente definito scrittore di romanzi storici o giallista, ma i lettori sono tutti lettori… Nel caso di Ozmo la doppia anima rende tutto più semplice per comprendere ed etichettare quello che potrebbe definirsi un corto circuito artistico sottoposto spesso a pregiudizio.
Come tutte le doppiezze subiscono l’accusa di incoerenza, di invasione di campo, di slealtà, Ozmo, ha dovuto destreggiarsi tra accuse ed elogi, strumentalizzazioni e alleanze di critici d’arte, squatter, comitati di cittadini, militanti per gli spazi pubblici, grandi brand e una stampa mai perfettamente pronta a dire qualcosa di sensato, documentato e giusto. Per questo forse l’artista del San Michele in Piazzale Cimitero Monumentale a Milano, primo graffito restaurato in Italia e di nuovo scomparso, comincia una profonda riflessione su temi quali il giudizio e la giustizia e finalmente entra in un museo, luogo pubblico per l’arte per eccellenza, con la mostra PreGIUDIZIO UNIVERSALE, curata da Alessandra Galasso per il “primo piano d’artista” del Museo del Novecento a Milano.
14 giorni di live painting per uno spazio di 42×6 metri per 7 di altezza, partendo da una matrice di 8 opere che l’artista e il suo storico assistente Werther Banfi, hanno espanso giorno per giorno ricoprendo e facendosi ispirare dalle pareti del museo. Un lavoro enorme, di creazione mentale e fatica fisica, la mostra ha riscosso grande successo e registrato numerose visite imponendosi come una tra le mostre più interessanti di questi ultimi anni in Italia. Ozmo è stato eletto dal suo pubblico, tanto che l’istituzione è stata costretta a riconoscerne la forza espressiva; la sua arte nasce dal basso, dove raccoglie quell’autenticità che non ha bisogno di contestualizzazioni ad hoc dei critici d’arte generalisti.
Ho parlato con l’artista prima della mostra, in cerca di qualche anticipazione, ma con Ozmo non esiste anteprima. La sua opera vive nell’attimo presente della rappresentazione e si trasforma in itinere.
Ozmo: Quando comincio un’opera non so mai dove mi porterà. Ciò che rappresento è un viaggio e si nutre di quello che vivo, vedo, mi invade, travolge, accarezza, consiglia, appare. Sono le persone che incontro, la storia che viviamo, la società che siamo e quella che purtroppo non siamo, le cose che possiamo dire e quelle che non possono esser dette, ciò che è permesso, ciò che non lo è. Mi nutro di simboli, li rappresento creando connessioni e spaziando nell’iconografia universale; non esiste un messaggio rappresentato, non insegno nulla, non giudico; chi guarda la mia opera non apprenderà un’informazione, non si troverà davanti a un’ideologia, non troverà una strada, un consiglio, una moda da seguire, o un canale diretto con qualche presunta conoscenza pregressa. La mia opera è aperta sia per me sia per chi la vive e non so né dove né come finirà. Quello che vorrei è invitare chi guarda alla stesso processo di viaggio o trance che compio mentre dipingo o disegno, e la scelta di lavorare per simboli composti in modo “granulare”, come nel dittico Apocalypse, mi dà la garanzia che ogni viaggio sarà diverso dal mio, senza alcuna omologazione.
Pur inserendosi nell’ambito della street art, Ozmo non strizza l’occhio al pubblico con un’immediatezza alla Banksy, e si discosta anche dalla volontà di stupire con la scelta di soggetti onirici, strambi o fantastici, nell’espressione di una fervida immaginazione, come Blu. Egli pesca dal reale e dall’attuale, ma la proposta che ne viene fuori è di entrare in un mondo di simbologie, connessioni, coincidenze, immagini, dai brand globali della contemporaneità, all’antica scienza alchemica, dal fumetto all’iconografia religiosa, che, se portate al limite, concorrono alla creazione di situazioni e sensazioni esoteriche, mistiche, personali, controverse, ancestrali.
Ozmo: Nel 2008 ho dipinto ad Ancona la grande Madonna col Bambino con i volti capovolti (di cui si trova una versione acrilico su pvc in piccolo al Museo del Novecento n.d.r.), è stato molto interessante raccogliere le impressioni del pubblico: la scelta di rovesciare le teste mi ha portato a una durissima critica da parte della curia anconese, da cui sono stato quasi tacciato di blasfemia, altri invece ci hanno letto la volontà della Madonna di guardare ancor meglio nell’alto dei cieli, con ancor più intensità. Amo molto quella Madonna e non ho mai avuto l’intenzione di essere blasfemo; quell’attacco sulla stampa inizialmente mi ha fatto sorridere, poi, riflettendoci, è successo esattamente quello che vorrei accadesse ogni volta che esco con un’opera. Da qui l’idea di organizzare una giornata al museo durante la quale personaggi del mondo della cultura, e in particolare provenienti da 7 arti (un poeta, uno scultore, un regista, un musicista, un filosofo, un pittore, un attore), hanno avuto la possibilità di interpretare attraverso le loro chiavi di lettura la mia opera.
Il meccanismo è esattamente quello a cui ci invita il maestro Alejandro Jodorowsky nella lettura dei tarocchi, iconografia da cui Ozmo attinge fin dall’inizio del suo percorso artistico: le carte pullulano di segni e colori simbolici, sta al tarologo evidenziarli e indirizzare l’attenzione del consultante.
L’interpretazione scaturisce solo e soltanto dai cortocircuiti che nascono nella mente del consultante, il quale collega i simboli al suo vissuto e ai propri interrogativi. Con questo approccio Ozmo sembra superare il giudizio e la critica, classiche pratiche a cui viene sottoposto il lavoro di un artista, trasformando il ruolo dell’opera d’arte da passivo, poiché contemplata, ad attivo, poiché creatrice di impressioni che lui stesso utilizzerà, come fonte di conoscenza, per entrare in connessione con chi “legge”. Sono tre i tarocchi che compaiono macroscopici al Museo del Novecento: il (pre)Giudizio, la Torre, la Giustizia. Con il Giudizio l’artista sembra mettersi a nudo davanti al suo pubblico ironizzando sul gioco di parole per il quale il Giudizio diventa preGiudizio, con la Torre si scardinano i vecchi equilibri e si crea un canale verso qualcosa di nuovo, la Giustizia, invece, costruisce una sintesi ristabilendo l’equilibrio che è tale perché porta in sé l’asimmetria e l’imperfezione. Tuttavia, come sappiamo, le letture potrebbero essere infinite e cambiare di volta in volta.
Ozmo è un’isola, un centro nevralgico connesso con vari aspetti della società e della cultura, è una cospirazione che scardina l’ortodossia della prassi artistica e non ha bisogno di giustificarsi perché bypassa il giudizio trasformando la fruizione dell’opera in un dialogo di conoscenza e ricerca per tutti.
Reading, introspection and research are words that come to mind when you think of Gionata Gesi aka Ozmo.
I won’t tell the story of his “dual personality” as a writer and gallery artist because it has already been written and narrated, I would like instead to travel into the unique soul of Ozmo, because he is one person not two. His dual personality is a play on words used to simplify, to make the understanding of his art accessible in the different environments in which he has gravitated and still gravitates; circles that have perhaps not communicated enough and are sometimes hostile towards each other. It would be like if Umberto Eco, for example, with “The Name of the Rose” would have been improperly and doubly defined as an author of historical fiction and mysteries, but readers are readers…In the case of Ozmo the dual personality makes it easy to understand and label what might be called an artistic short circuit often subjected to prejudice.
Like all those who are duplicitous, who suffer charges of inconsistency, invasion of the field and disloyalty, Ozmo has had to juggle accusations and praise, exploitation and covenants of art critics, squatters, committees of citizens, activists of public spaces, big brands and print that are never ready to say anything sensible, documented and fair. For this reason, perhaps, the artist of San Michele in Piazzale Cimitero Monumentale in Milan, the first graffiti which was restored in Italy and then again disappeared, began deep reflection on issues such as judgement and justice and finally entered a museum, a public place for art par excellence, with the exhibition IL PreGIUDIZIO UNIVERSALE (THE UNIVERSAL PreJUDICE), curated by Alessandra Galasso and exhibited as the “featured artist” of the Museo del Novecento in Milan.
14 days of live painting in an area measuring 42×6 meters and 7 meters tall, starting from an array of 8 works that the artist and his long-time assistant Werther Banfi have expanded from day to day, covering and becoming inspired by the museum’s walls. A huge job, mentally and physically fatiguing, the exhibition has had great success and the numerous visitors marks it as one of the most interesting exhibitions in recent years in Italy. Ozmo was chosen by his audience, so much so that the institution was forced to recognise his expressive power; his art has grown from the bottom up, where it collects authenticity that needs no contextualisation from general art critics.
I spoke with the artist before the show, looking for clues as what I could anticipate, but with Ozmo, there can be no sneak peak.
His work lives in the present moment of representation and is transformed in itinere.
Ozmo: When I begin my work I never know where it will take me. What I represent is an introspective journey that thrives off of what I live, I see, what invades me, overwhelms and caresses me, what is recommended or appears before me. They are the people that I meet, our personal stories, the society that we are and what we are unfortunately not, the things that we can say and those things that cannot be said. I feed symbols, I represent them by creating connections and using universal iconography; there is no message, I don’t teach anything, I don’t judge; those who view my work don’t get information, they won’t find ideology in front of them, or a way, advice, a fad to follow, or a direct channel with some alleged prior knowledge. My work is open both for me and for those who live it and I don’t know where or how it will end. What I would like is to invite the viewer on the same process of travelling or trip that I take while painting or drawing, and the choice of working with symbols composed in a “granular” way, like in the diptych Apocalypse, which gives me the assurance that every trip will be different from mine, without any approval.
Even though he is part of the street art scene, Ozmo doesn’t pay attention to the public audience with the outrightness of Banksy, and also departs from the desire to impress with his choice of dreamlike, fantastical or eccentric subjects in the expression of a vivid imagination, like Blu. He draws from the real and current, but the creation enters a world of symbols, connections, coincidences, images, from the global brand of contemporariness to the ancient science of alchemy, from cartoons to religious iconography, which, if taken to the limit, contribute to the creation of esoteric situations and feelings, mystical, personal, controversial, ancestral.
Ozmo: In 2008 in Ancona I painted the great Madonna with Child with the faces upside down (of which you can find a small acrylic version in pvc at the Museo del Novecento n.d.r.), it was very interesting to receive feedback from the public: the choice to turn the faces brought about harsh criticism on the part of the Anconian church, from whom I was almost accused of blasphemy. On the other hand, many saw the desire in the Madonna to look more closely with intensity at the high heavens. I love that Madonna a lot and I never had the intention for it to be blasphemous; that initial attack in the press made me smile, then on reflection it did exactly what I would like to happen with the release of every one of my works. Hence the idea to organise a day at the museum during which people from the world of culture and art, in particular coming from 7 types of art (a poet, a sculptor, a filmmaker, a musician, a philosopher, a painter, an actor) have had the opportunity to interpret in their own way the meaning of my work.
The system is exactly the same as the master Alejandro Jodorowsky uses for tarot readings, iconography that Ozmo has been using since the beginning of his artistic career: the tarot cards are full of signs and symbolic colours, the reader points out and directs the attention of the querent.
The interpretation is coming from the mind of the querent based upon his or her past and current doubts or questions. With this approach Ozmo seems to overcome judgement and criticism, traditional practices an artist’s work undergoes, transforming the role of art work from passive to active, as a creator of impressions he will use himself like a fountain of knowledge to be on same page with those who “read”.
These three tarot cards are being displayed in large size at the Museo del Novecento: il (pre)Giudizio (Judgement), la Torre (the Tower), la Giustizia (Justice).
With il Giudizio (Judgement), the artist seems to be ironically exposing himself to his audience with the play on words in which the Italian “il Giudizio” becomes preGiudizio (prejudice), with the Tower destroying the old balance and creating a channel towards something new. Justice, however, creates synthesis by restoring the balance because it takes in consideration also asymmetry and imperfection. However, as we know, the readings can be infinite and change from time to time.
Ozmo is an island, a neurological centre connected with various aspects of society and culture, he is a conspiracy that undermines the orthodoxy of artistic practice and does not need to justify himself because he bypasses judgement transforming the fruition of his work into a dialogue of knowledge and research for all.