ACID BLEACH

Alexandre Bavard a.k.a. MOSA / Solo show / Curatorial / Avantgarden Gallery - Milano

ACID BLEACH è la nuova personale dell’artista parigino di origini georgiane ALEXANDRE BAVARD in arte MOSA presentata da Avantgarden Gallery a Milano. 

Alexandre Bavard, formatosi all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Lione, è da considerarsi un drammaturgo e un performer al tempo stesso, poiché tende a creare narrazioni che trascendono ogni mezzo e che si alimentano di ripetizioni, movimenti, flussi, azione. Le opere esposte si concentrano sulla pittura informale su tela trattata col metodo della scoloritura (Bleach), ma trovano espressione anche nella scultura in resina e cemento, nel video e nella performance. Nel lavoro di Alexandre l’allestimento espositivo diventa alla stregua di una scenografia teatrale distopica, a volte oscura, e lo spazio si trasforma attraverso lo sguardo di un esploratore del futuro. Traslando il punto di vista nel tempo, oggetti di uso comune, come abiti, copertoni, taniche, contenitori in plastica di ogni tipo, giocattoli, diventano i simboli dell’antropocene ripensati e rivisitati come i resti per una nuova archeologia di cui l’artista ci rende testimoni a priori. 

La creazione scenografica di Bavard negli spazi di Avantgarden riproduce una sorta di mondo perduto e distopico, che lui ama definire ‘wasteland’. Esso è fatto di reti, mattoni e materiali che lui stesso ha cercato e trovato lasciandosi ispirare dal ready-made delle location visitate in quella che possiamo definire alla stregua di una artist-in-residence milanese. Esploratore delle periferie, ricostruisce in galleria un’ambientazione che supera il concetto di tempo, la metropoli è scomparsa: non c’è più passato, né presente, né futuro. Lo spettatore si trova avvolto da una senso di perdita, una tabula rasa, il caos dei primordi, dove solo alcuni indizi gli ricordano chi è stato e dov’era. Le sculture in resina antropomorfe, ma dove l’umano biologico non c’è più ed è rimasto solo un simulacro (abiti, atteggiamenti e attitudini del nostro ‘essere stati’), sono tutto ciò che rimane di noi. Lo spettatore esplora il suo stesso mondo rimanendone estraneo. Tutto è da ricostruire, forse? Bavard sceglie la performance per rispondere al vuoto e all’immobile. Lobo, laboratorio multidisciplinare e d’avanguardia di artisti e psicologi, nato dalla mente di Virginia Roghi, da anni ricercatrice nella cultura underground, viene scelto proprio per attivare l’installazione e aggiungere suggestioni estetiche con creature che abitano la ‘wasteland’ bavardiana. Squarciano la scena i componenti di una tribù, divinità e semidei conquistano lo spazio proponendosi con tutta la loro attitudine anarchica, tipica di ogni ricostruzione libertaria, al di là del gender, al di là delle vecchie regole, al di là di ogni tricotomia uomo-donna-natura. Sofia Baldi, curatrice della performance che prende il titolo di People of Ruins, lavorando a stretto contatto con le visioni di Bavard, veste i personaggi della performance con gli abiti ‘bleached’ dall’artista stesso, chiudendo il cerchio sulle opere su tela portatrici di un misterioso messaggio dal futuro. 

Non è un caso che la ormai storica galleria milanese, che tratta da sempre artisti che hanno avuto e hanno tutt’ora a che fare con la street culture e l’underground, scelga un artista come Bavard. Col nome di MOSA, Alexandre vanta infatti un passato da writer. Non solo. Bavard ha ricodificato il writing donandogli una nuova vita. Il “Bulky” è un sistema di tracciamento del movimento generativo dalla tag. Questo sistema risponde a un desiderio primario di portare le tag nello spazio espositivo superando l’idea riduttiva di una trasposizione delle street tag sulla tela grazie a un processo di intellettualizzazione della calligrafia di strada e il ricorso alla danza. Mentre caratteri e pittura potrebbero limitarsi al supporto della tela, l’uso di coreografie di linguaggio corporeo è una risposta al movimento dell’arte urbana contemporanea. All’origine della Bulky performance c’è un desiderio di combinare diversi mezzi espressivi attraverso l’interazione fra calligrafia di strada, danza e creazione sonora. Questa scrittura del gesto si basa su una dinamizzazione e una riappropriazione dell’alfabeto georgiano, regione da cui proviene l’artista. 

ACID BLEACH is the new personal exhibition from the Paris-based artist of Georgian origin ALEXANDRE BAVARD aka MOSA at the Avantgarden Gallery, Milan. 

Educated at the École Nationale Supérieure des Beaux-Arts of Lyon, Alexandre Bavard can be seen as a playwright and performer simultaneously. His narratives transcend any specific medium and are fuelled by repetition, movement and flow. The range of artworks on display includes informal paintings on bleached canvas, resin and concrete sculptures, videos and performances. In Alexandre’s work, the exhibition set-up becomes a dystopian scenic design, at times dark, while the gallery is transformed through the eyes of an explorer of the future. This way, common objects such as clothes, tyres, jerry cans, plastic containers of any kind, and toys, turn into symbols of the anthropocene and are rethought and revisited as remains for a neo-archaeology the artist makes us witness of a priori.

Bavard’s scenography recreates a sort of lost and dystopian world inside the Avantgarde Gallery. ‘Wasteland’, as he loves to call this world, is made of nets, bricks and other materials he has looked for and found, drawing inspiration from readymades available in areas that he has visited during what can be seen as his artist residency in Milan. Alexandre is an explorer of peripheries. His exhibition set-up in the gallery makes the concept of time dissolve, while the metropole vanishes: there is no more past, present or future. Onlookers are surrounded by a sense of loss, a tabula rasa, the primordial chaos, and only a few signs remind them who they have been and where they are from. Anthropomorphic resin statues deprived of life and only displaying simulacra (clothes, attitudes and aptitudes of our ‘having been’), are all that is left of us. Spectators are exposed to their own world but are foreign to it. Maybe everything has to be reconstructed? Bavard opts for the performance to respond to emptiness and immobility. A multidisciplinary, avant-garde workshop of artists and psychologists, devised by Virginia Roghi, a major specialist in underground culture, Lobo is chosen to activate the installation and stimulate aesthetic imagination through creatures that inhabit the Bavardian ‘wasteland’. Members of a tribe burst into the scene, deities and demigods occupy the space with all their anarchic attitude, typical of any libertarian reconstruction, beyond gender and old rules, beyond any trichotomy man-woman-nature. Engaging in conversation with Bavard’s visions, Sofia Baldi, the curator of this performance, titled People of Ruins, dresses her characters with clothes that were ‘bleached’ by the artist himself, thus bringing us back to his canvases and their mysterious message from the future.

It comes as no surprise that the now-historic Milanese gallery, which has always collaborated with artists having a close relationship with street culture and underground, has chosen an artist such as Bavard. Under the name of MOSA, Alexandre has a past as a writer. Not only. Bavard has recodified and given new life to the writing. The “Bulky” is a system of notation of the movement generated by tags. This system responds to a primary desire to bring the tag into the exhibition space. It transcends the reductive idea of transposing the street tag to the canvas through a process of intellectualization of street calligraphy and by resorting to dance. Where lettering or painting could be limited to the canvas, the use of choreographed body language is an answer to the movement of contemporary urban art. The Bulky performance is the outcome of a desire to combine several mediums of expression through the interaction between street calligraphy, dance and sound creation. This writing of gesture is based on a dynamisation and appropriation of the Georgian alphabet, the region where the artist comes from.